C’è
differenza tra navigare in solitaria
oppure con un equipaggio. Qualunque Sia la scelta, si hanno vantaggi e
svantaggi.
Andare da
soli significa percorrere meno miglia al giorno, a meno che non si faccia vera
altura. Per esempio, da solo, io non sarei stato in gradi di fare un’unica
tappa da san Nicola (più o meno Palermo) a Gioia Tauro e nemmeno da Vibo
Valentia a Salerno. La prima di queste due tappe è durata 27 ore e lka rotta
non si è mai allontanata a più di una decina di miglia dalla costa. E ha
attraversato punti nei quali un surplus di attenzione era oltremodo necessario:
nel canale tra Milazzo e Vulcano e al largo dell’imboccatura dello Stretto di
Messina.
Stessa cosa
per la tappa Vibo Valentia-Salerno. Qui, è vero, ci siamo scostati un po’ di
più rispetto alla terra, ma dovevamo fare i conti con i pescatori che buttano
le loro reti anche a più di 15 miglia dalla costa. Ne abbiamo incontrato uno al
traverso di Cetraro. Eravamo in piena notte e in pozzetto eravamo in tre.
Abbiamo visto un’imbarcazione a poco più di un miglio che ci puntava un faro
addosso. Abbiamo acceso il motore, rollato il genoa e preparati a fare una
qualche manovra. Dopo un po’ abbiamo visto che quell’imbarcazione era un
peschereccio d’altura. Il comandante è stato gentilissimo: motori al minimo ci
è sfilato di poppa e ci ha detto che stavamo andando dritti verso una delle sue
reti e ci ha chiesto di seguirlo. Sarebbe stato lui a portarci fuori dai casini.
Ha visto che la nostra velocità era ui cinque nodi e lui si è adeguato.
>Dopo una mezz’ora eravamo fuori. A quel punto ci ha chiamato per radio e
augurato una buona navigazione, non senza averci avvertito che a tre miglia
davanti a noi c’era un altro peschereccio con un’altra rete. Ci ha dato le
coordinate e così noi siamo passati al largo e quel peschereccio non l’abbiamo
neppure visto.
Ecco, se
avessi navigato da solo e mi fossi anche solo appisolato, probabilmente sarei
finito nei pasticci. Ma eravamo in tre e tutti svegli (proprio perché eravamo
in tre e tutti animati dalla voglia di cazzeggio) e la cosa è finita con un
allungamento irrisorio della rotta: tre miglia su 145. Nulla.
Un altro
innegabile vantaggio della navigazione con equipaggio, oltre a poter dormire qualche
ora, è quello che si lavora meno, sia quando si è in rotta sia quando si va
all’ormeggio. Un buon equipaggio – che non deve essere necessariamente esperto –
è importante per chi, come me, è malato di pigrizia cronica e, magari, ha anche
qualche acciacco poco piacevole.. Poi – e qui parlo del mio meraviglioso
equipaggio, Mario e Stefano – se a bordo c’è uno che oltre a saper governare
la barca è anche un mago dei fornelli, capite che si viaggia davvero col vento
in poppa.
Ma allora,
dirà qualcuno, dove stanno i lati negativi? Se Giovanni non si chiamasse
Giovanni, probabilmente direi che lati negativi non ce ne sono. Ma siccome
Giovanni si chiama Giovanni, qualcuno c’è. C’è, per esempio, che le rotte vanno
programmate con i compagni di viaggio. Per esempio, mentre eravamo in rotta tra
Gioia Tauro e Maratea (previste una ventina di ore di navigazione) ci siamo
beccati una bella burrasca che ci ha portati a cambiare programma. Avremmo
potuto continuare in piena sicurezza,a davanti a noi avevamo almeno altre
tredici ore e il solo pensare di stare con quel vento a 30 nodi e onde
frangenti di prua per tutto quel tempo, mi ha costretto a cambiare rotta. Avrei
preferito fare una quindicina di miglia e atterrare ad Amantea, ma la direzione
del porto che abbiamo contattato ci ha detto che non c’era fondale sufficiente
per la nostra Horus. Ci ha suggerito Cetraro, ma eravamo a più di 50 miglia. Un’occhiata
alla carta nautica e decido di fare un’inversione ad U e puntare su Vibo
Valentia. Lì sapevo che mare e vento erano più clementi e che comunque il
disagio non sarebbe durato più di 4 ore. Ne ho parlato con Mario e Stefano, ma
poi la decisione l’ho presa io. Assumendomene la responsabilità.
E’ così che
si fa quando si comanda una imbarcazione, che sia piccola come piccola è Horus,
o che sia un enorme transatlantico. Ecco, viaggiare con un equipaggio significa
avere la responsabilità anche delle loro vite e, perché no?, anche del loro
disagio.
Quando si è
soli si decide molto più in fretta e spesso si fanno anche scelte diverse. Non
si ha supporto in nulla. Quando eravamo in tre, per esempio, spesso ero in
cabina a scrivere le mie minchiate. Tanto, anche da sotto, ero in grado di
percepire se il vento rinforzava o il mare stava per ingrossarti. In quattro
anni che vivo nella pancia di Horus ho imparato ad apprezzare ogni minimo
movimento della barca, manco se fosse una mia seconda pelle. O forse lo è. Con
mare brutto e se si è soli, si mangia freddo. In equipaggio, invece, c’è sempre
qualcuno che sa stare ai fornelli anche se la barca, come è capitato a noi,
sembra stare in una pentola a pressione.
Da soli,
però, si è davvero padroni del proprio tempo. E questo, per me, è libertà.
Certo, vista l’esperienza meravigliosa – dal punto di vista marinaresco che da
quello umano – che ho fatto con Mario e Stefano, qualche dubbio sulle
navigazioni in solitario mi viene. Non ho remore nel dire che mi mancano, ma adesso
che sono di nuovo solo non so se mi manca l’equipaggio o se mi mancano le
persone.
Avrò tempo
per pensarci.
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