All’anagrafe
fa Stefano Liggio, ma per me è Stefanuzzo. Ha appena 23 anni, ma è già un
marinaio preparato e con esperienza. Ha scoperto la vela pochi anni fa, ma è un
testone: decise che avrebbe fatto del mare la sua professione ed è quello che
sta facendo. Ha fatto corsi, esami, ha speso un capitale ma adesso è in
possesso di un Master GT 200 preso in Inghilterra (raramente lo si consegue al
di sotto del 40 anni) che lo abilita al comando di navi da diporto senza limiti
di lunghezza e fino a 200 tonnellate.
I suoi
genitori lo volevano ingegnere, come il papà. Ma lui è riuscito a convincerli
che la sua strada è a mollo. Ha trovato genitori intelligenti che non solo lo
hanno ostacolato, ma quando è stato il caso, lo hanno incoraggiato e spinto.
Non so
perché, ma Stefano mi vuole bene (e io a lui, ma non diteglielo spesso,
altrimenti si monta la testa). Assieme a Mario (altro personaggio che prima o
poi vi presenterò) hanno dubitato delle mie condizioni di salute e pochi giorni
prima della partenza mi hanno comunicato la loro decisione: “Per una settimana
veniamo con te”. E siccome avevano messo
la faccia seria, non ho potuto opporre resistenza.
Avere
Stefano a bordo dà sicurezza. Le sue tasche sono come quelle di Eta Beta: c’è
di tutto. In un borsone, a parte i suoi effetti personali, ha portato: barrette
energetiche, frutta liofilizzata, noci e noccioline, filo cerato per cucire le
vele, set di fusibili, pc con
cartografico e gps esterno, felpe per le varie temperature, cerata, cintura di
sicurezza, cuscino gonfiabile, stivali, coltellino tuttofare, telefonino
hi-tech che, a parte il caffè – fa di tutto.
L’unica dimenticanza sono stati gli occhiali da sole per la notte, ma
poi ho capito perché: perché semplicemente non esistono. In caso contrario
avrebbe portato con sé anche quelli.
Mi piaceva
quando il vento cominciava a rinforzare e lui si divertiva ad ottimizzare le
vele e quando si riusciva a guadagnare mezzo nodo di velocità, a bordo di Horus
era festa grande. E quando al traverso si superavano i 7 nodi, poco ci voleva
che si stappasse lo champagne.
E poi è un
grande cuoco e un grande cuoco da barca. Quando eravamo in rotta verso maratea
e siamo entrati in una piccola (ma non tanto piccola) burrasca e abbiamo deciso
di percorrere venti miglia all’indietro e andare a ripararci a Vibo Valentia,
Stefano cucinava con Horus che si piegava ora su un fianco, ora sull’altro. E
in piena burrasca abbiamo mangiato una amatriciana che più buona non avrebbe
potuto essere.
Stefano e Mario
sono sbarcati a salerno, hanno preso il treno e sono tornati in Sicilia. Mario
mi ha raccontato dell’insofferenza del “bimbo”. Non ce la faceva più. E dire
che in sole sette ore hanno percorso all’incontrario un tragitto che in barca è
durato oltre 75 ore. Quando si dice che fra il treno e una barca a vela la
differenza c’è.
Adesso è in
partenza per Londra per ritirare la sua licenza di comandante (comandante vero,
non della domenica come il sottoscritto). Poi tornerà a fare l’ufficiale su una
barca di 30 metri che lavora tutta l’estate facendo charter di lusso.
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