Nel porto di Nettuno in attesa del temporale (che non è arrivato) |
Adesso le
miglia percorse sono poco più di 450.
Giorni fa abbiamo lasciato Procida (a bordo c’era anche Luisa, una mia
cara amica padovana) e per un paio di giorni ci siamo fermati a Gaeta. Qui
Luisa è sbarcata e io e Horus, dopo poco più di 50 miglia abbiamo raggiunto
Nettuno, dove mi trovo adesso.
Navigazioni,
in queste due tappe, tutto sommato tranquille. Poco vento da Procida a Gaeta,
molto vento (fino a 28 nodi di apparente, ma si andava di bolina) da Capo
Circeo a Nettuno.
Non avevo
mai navigato su questo pezzo di Italia e, come un bambino, continuo a
meravigliarmi ad ogni capo che doppio. E mi diverto a tracciare le rotte, le
vie di fuga, i tempi di percorrenza e a stilare un calendario che sia compatibile
con il meteo, con i costi degli ormeggi e con la mia salute. Mettere a posto i
pezzi di questo puzzle, credetemi, non sempre è facile. Però, in un modo o in
un altro, ci siamo riusciti.
Ma torniamo
al nostro viaggio. E’ vero che ancora non siamo in periodo di ferie, ma finora
le uniche barche che ho visto, erano barche di “locali” che passavano qualche
ora in mare e poca distanza dal loro porto di armamento. Barche in rotta verso
altri porti ne ho viste poche e tutte con bandiera straniera: molti francesi e
molti tedeschi. Molti, quei pochi che ho visto.
Tutto pronto per alzare la randa |
Siamo
partiti da Procida di buon mattino, ci siamo messi subito su una rotta
volutamente sbagliata per evitare incroci poco desiderabili con traghetti e
aliscafi e poi, fuori dal casino, su per 323 gradi e con 32 miglia tutte da
percorrere. Per una buona metà del percorso, siamo andati con motore e randa.
Poi, quando è arrivato un po’ di venticello che ci veniva al traverso, abbiamo
spento lo Yanmar, svolto il genoa e ad una media di 4 nodi siamo arrivati a
Gaeta.
Il porto è
moderno ed è molto accogliente. Per i soci della Lega Navale (che qui non ha
pontili propri) c’è uno sconto del 20 per cento: in tempi come questi, mi
sembra una lodevole iniziativa. Il marina offre, oltre alla luce, due tipi di
acqua: quella presa dai pozzi, buona per lavare le barche, e quella potabile da
mettere nei serbatoi. Una soluzione utile per evitare sprechi e usi impropri.
Bagni e docce calde e anche un buon wi-fi.
Il porto di Gaeta visto sul sito di Marinetraffic.com Uno dei due puntini rossi all'interno del porto è Horus |
Per chi non
ha necessità di scendere a terra, si può stare all’ancora sia a levante che a
ponente del marina di Gaeta: il fondo di sabbia tiene bene e, se non arrivano
forti venti meridionali si sta davvero tranquilli.
Come mi
aveva suggerito Alessio Patania, altro
velista galantuomo (con un First 28, assieme alla moglie, è andato dall’Argentario a Siracusa e ritorno. Complimenti!), le stradine di Gaeta sono un concentrato
di colori, sapori ed emozioni. Viviamo in un Paese meraviglioso: se solo gli
volessimo un po’ più di bene….
La domenica
sera a nanna presto, ma il sonno non arriva e alle 3.30 suona la sveglia. Ho
dormito solo un paio d’ore, ma devo mettermi in mare prima che faccia luce. Ho
sempre fatto in modo di arrivare a destinazione, indipendentemente dal fatto
che questa destinazione sia un porto o una rada, ben prima che faccia buio.
Immagino di tenere una media di 4 nodi e con quei calcoli faccio in modo di non
arrivare mai più tardi delle 16, 17.
Poco prima dell'alba e si lascia Gaeta |
Alle 3 e
mezza apro il copriranda, accendo il motore per portarlo a temperatura, accendo
gli strumenti e le luci di via e comincio a preparare il caffè. Mentre la moka
borbotta, accendo il Vhf, vado sul Canale 9 e chiamo l’operatore radio del
Marina per ringraziare dell’ospitalità e congratularmi per la loro
professionalità. E, ovviamente, per avvertirli che stavo per lasciare l’ormeggio.
E poco prima
delle 4 sono fuori dal porto. Assieme a me, due lance di pescatori che, immagino, vanno a tirare le reti calate
il giorno prima. Da Salerno in su ho notato che molti pescatori usano dei “treni”
di nasse per il loro lavoro. Da noi, in Sicilia, sono le reti gli attrezzi più
diffusi.
Mentre vado
a duemila giri (Horus fa quasi 5 nodi e questo mi basta), mi volto per guardare
Gaeta e le sue luci che allontanano. Costeggio la
rocca “governata” dal maschio Angioino. Poi pian piano, sempre seguendo il
costone di roccia, viro a dritta, lascio il Golfo di Gaeta ed entro in quello
di Terracina: ho da percorrere poco più di 25 miglia, fino al Capo del Circeo.
Vento zero: alzo la randa per ridurre il rollio e magari guadagnare anche mezzo
nodo.
Il sole
sorge alla mia poppa e faccio qualche foto. Di albe e tramonti, a mare, ne ho
visti centinaia. Ma ogni volta, per m, è una emozione nuova. Rimetto in
dinette la macchina fotografica e ammazzo il tempo mettendo in acqua le lenze
per la traina: non sono un pescatore professionista e neppure dilettante.
Insomma, non so pescare. Ma a volte, nonostante me, qualche pesce si prende.
Mentre penso a questa mia atavica mancanza di professionalità, vedo a qualche
centinaio di metri un piccolo pesce spada (io almeno lo vedevo così, piccolo).
Saltava fuori dall’acqua, con il suo attrezzo disegnava nell’aria un
immaginario cerchio e poi ricadeva goffamente in acqua. Nulla a che vedere con
l’eleganza dei delfini, ma quello dei pesce spada per me era uno spettacolo
insolito. Mi tuffo nella dinette per riprendere la macchina fotografica, torno
in pozzetto ma quello, il pesce spada, era ritornato sul fondo. Sarà per un’altra
volta.
Fino a
cinque miglia dal Circeo si è andati con randa e motore, ma comincia una
leggera onda lunga proprio di prua. Un vecchio pescatore di Isola delle
Femmine, un paesino alle porte di Palermo, tanti anni fa cercò di spiegarmi che
il mare parla. Sta a noi apprendere il suo linguaggio e capirlo. E il mare
parla anche con le sue onde: se arriva una bella onda lunga, i casi sono due: o
seguono giornate di vento forte oppure le anticipano. Siccome nei giorni
precedenti la regola era quella delle bonacce, ho preferito mettermi al sicuro
e, continuando a motore, riduco la randa.
Il mare
aveva parlato davvero. Subito dopo il capo la rotta cambia (da 270 a 310 gradi)
e l’onda lunga, che arrivava di prua ora “attacca” Horus sul mascone. Comincia
ad apparire un po’ di venticello, svolgo il genoa e spendo il motore. Horus va
a poco più di 3 nodi. Decido di andare a vela per almeno un paio d’ore. Poi,
mal che vada, posso sempre riaccendere il motore e mettermi a 5 nodi, 5 nodi e
mezzo per arrivare nei tempi previsti. Ma non c’è bisogno. Il vento rinforza e
si va di bolina: non bolina stretta ma neppure larga. Il vento apparente ora si
è stabilizzato sui 10 nodi e più volte ho avuto la tentazione di riportare la
randa come era prima, ovvero non più ridotta. Ho preferito aspettare: il vento saliva: 12
nodi, 15, 18, 20 nodi. Decido di ridurre anche il genoa per rendere la barca
più equilibrata. E per di più ho scarrellato la randa sottovento. La stazione del
vento sputava le sue sentenze: 25 nodi di apparente. Avrei potuto poggiare un
poco, ma questo avrebbe comportato più in avanti di fare almeno un bordo.
Niente, si resta così di bolina.
Anche se non
avevo alcuna ragione per uscire dal pozzetto, indosso le cinture di sicurezza.
L’onda lunga è sparita per fare spazio ad onde di un metro e mezzo, due metri.
Ingrasso un po’ il genoa per dare potenza ad Horus e salire con più sicurezza
sulle onde ed evitare che la prua scada sottovento.
Il 13 metri dei danesi in navigazione verso Ostia |
La barca è
equilibrata. Scendo in dinette per farmi qualche fetta di pane con la nutella.
Dagli oblo vedo una barca a vela alla mia sinistra. Nell’Ais scopro che è un 13
metri danese. Anche lui, sbandatissimo, va con randa e genoa ridotti. Li chiamo
per radio. Io pensavo che anche loro fossero diretti a Nettuno, invece mi
dicono che procedono verso Ostia. Una breve
e piacevole chiacchierata, gli auguri reciproci di buona navigazione e li vedo
virare verso il largo per passare a distanza di sicurezza dal capo di Anzio per
poi tornare sulle mura precedenti e puntare dritti su Ostia. Io resto sulla mia
rotta. Ancora un’ora e si arriverà a Nettuno dove mi aspettano. Paride, amico
dei miei amici palermitani della Murpy&Nye e della Sailing Boat Service, mi
dice che al porto mi aspettano e che per me è riservato il posto B40. Ringrazio
e comincio a prepararmi all’atterraggio. Ritiro le canne, ritiro anche la lenza
sull’affondatore e durante questa manovra uno scemo di sgombro resta allamato:
finirà in padella. Preparo anche le cime di poppa e chiamo per radio il Marina spiegando che sono solo e
che con quel vento sarebbe meglio avere l’assistenza di un gommone. Mi dicono
di sì e mi chiedono di chiamarli quando sarò all’imboccatura.
Seguendo i
consigli di Ivan De Francesco, anche lui gran velista e gran galantuomo, mi
preparo ad entrare: “Tieniti al centro e se c’è onda entra a tutta manetta”, mi
aveva detto. E io, a mezzo miglio, punto il centro dell’imboccatura. Richiamo
il Marina che mi chiede di aspettare un po’, perché il gommone è impegnato in
un’altra assistenza. Il mare è grosso e bighellonare davanti al porto, dove
il fondale è basso e quindi anche le onde sono alte, non è proprio piacevole. Faccio
due “vasche” e mi richiamano: può entrare. Seguo i consigli di Ivan ed entro
esattamente al centro e a tutta manetta: supero il muretto d’acqua che si era
fermato all’imboccatura e mi ritrovo dentro. Il vento è calato un poco, siamo
sui 20 nodi, ma almeno non c’è più onda. L’assistenza è perfetta. Il gommone
che mi sta accanto è pronto a “tenermi” la prua qualora dovesse sacadere.ma
entro a marcia indietro di poppa e non c’è stato bisogno di intervenire.
Ora qui per
qualche giorno. Tra l’altro devo stare uno o due giorni a Roma per motivi
medici. Ci aggiorneremo quando avrò le idee più chiare.
Video
Video
Se volete, qui sotto ci sono dei pulsantini per condividere questo post sulla vostras pagina Facebook o sul vostro Twitter
Nessun commento:
Posta un commento