Lisca Bianca durante il suo giro del mondo |
Ormai
manca poco: Lisca Bianca, dopo aver solcato i mari di tutto il mondo e toccato
tante, ma tante “isole lontane”, torna in mare. E’ rimasta
abbandonata per anni, poi è tornata a vivere grazie ad un gruppo di giovani e meno giovani che ci hanno messo l’anima. Ma che da quella barca hanno anche appreso che la
libertà non è solo un sogno, ma che può diventare u n progetto.
La
storia. la decisione di costruire Lisca Bianca cominciò a maturare in Sergio
Albeggiani e sua moglie Licia nel 1975. Come scritto nel libro Le isole
lontane, all'epoca la famiglia disponeva di un piccolo gozzo siciliano, una
"sardara" di Porticello, coloratissima e molto marina. Con questa
barca, armata di randa aurica e fiocco, i due si spinsero fino a Tenerife ma,
nonostante il desiderio di proseguire, decisero di tornare in Sicilia consci
che Lisca Bianca in quel momento non era adatta ad una navigazione oceanica.
Arrivati in Sicilia, più riprendeva la vita "normale" più cresceva il
desiderio di riprendere il mare, questa volta su una barca oceanica "da
abitare".
Sergio Albeggiani |
Tra
i progetti presi in considerazione, il Tahiti Ketch attirò molto
l'attenzione di Sergio Albeggiani per le sue linee dolci e marine, ampia
invelatura e apparente ottima solidità. A convincere definitivamente Sergio
Albeggiani fu il significativo episodio dell'Atom del navigatore solitario Jean
Gau, alle prese con l'uragano Carrie che aveva appena messo in pericolo di
affondamento Pamir, grande nave a vela di acciaio. Atom, invece, un Tahiti
Ketch di nove metri governato da un solo uomo ed in rotta da Gibilterra a New
York, se ne stava al sicuro alla cappa circa trecentosessanta miglia a Sud di
Montauk Point.
Sergio
Albeggiani decise che avrebbe costruito un Carol Ketch, versione più grande
(36") del Tahiti il cui progetto dell'americano John Hanna del 1924 era
derivato dai battelli-pilota norvegesi a vela e destinato ad essere impiegato
in Pacifico. Sergio Albeggiani riuscì a reperire i piani di costruzione da
Giorgio Sternini, possessore di un Tahiti Ketch che aveva acquistato i piani
del Carol direttamente dalla vedova di Hanna con l'intento di costruirne uno,
idea poi abbandonata a causa dell'età già avanzata.
Il
primo giro del mondo è cominciato il 23 settembre 1984 da Porticello e si è
concluso nell'estate del 1987.Il secondo giro del mondo è cominciato nel 1989
ma non si è mai concluso a causa della morte di Sergio Albeggiani. (da wikipedia)
La
scheda.
Lisca
Bianca é un Carol ketch di 36 piedi, versione più lunga del Tahiti Ketch, noto
per le caratteristiche marine e la sicurezza. I coniugi Albeggiani scelsero
questo modello dopo aver letto che, a seguito di una bufera durante una regata,
la suddetta imbarcazione era stata l’unica a non riportare alcun danno. La
chiglia lunga e l’armo a ketch garantiscono, infatti, eccellenti stabilità di
rotta e governabilità. L’imbarcazione presenta un pozzetto centrale con annessa
pilot-house e a poppa una piccola cabina. Scendendo si incontrano un comodo ed
ampio quadrato e una cabina di prua con bagno.
E
questo è un articolo che Nadia Lodato, una delle volontarie che hanno riportato
in vita il mitico “Lisca Bianca”, ha scritto per Repubblica che l’ha pubblicato
il 27 marzo di quest’anno.
di
Nadia Lodato
«Non
vedevo il mare da tre anni». Seduto al bar a bere un caffè con il team di
LiscaBianca, di ritorno dalla prima uscita in barca, S. ha un’espressione grata
e stupita. Parla sommessamente,
con pudore, quasi come se non meritasse tanta bellezza. S., che non vedeva il
mare da tre anni perché in carcere, è stato uno dei primi ragazzi a prendersi
cura di LiscaBianca, tra il laboratorio di restauro e le uscite a vela in
collaborazione con la Lega Navale. Era il marzo del 2014 e oggi S., finita la
detenzione, comincerà a lavorare in cantiere con gli altri operai che stanno ultimando
il restauro: un maliano, un gambiano, due palermitani.
Come era ridotta Lisca Bianca prima del restauro |
«Come
avviene di solito nei progetti sociali, i beneficiari sono innanzitutto le
risorse da cui tutti noi impariamo qualcosa. A fronte della riduzione delle
risorse pubbliche che ci impone la regolazione informale per il soddisfacimento
dei bisogni, l’apprendimento reciproco è non solo una condizione necessaria, ma
l’unica strategia vincente», spiega Nadia Lodato, che dal 2001 si occupa di cooperazione
internazionale tra Albania, Sud Sudan e Kenya e in Sicilia gestisce progetti di
inclusione socio-lavorativa, empowerment individuale e di comunità. Per
LiscaBianca coordina l’area sociale, a contatto diretto con gli utenti. Utenti
come S., che ha scontato la sua pena all’Istituto Penale Minorile ex-Malaspina
di Palermo; come gli ospiti della comunità di Trabia, che provengono da una
storia di tossicodipendenza; come i giovani rifugiati del circuito SPRAR; come
i lavoratori infortunati segnalati da INAIL. Persone che arrivano dalle aree di
cui si occupano l’Istituto Don Calabria e l’Associazione Apriti Cuore Onlus, i
primi promotori del Progetto.
Al lavoro per ridare la vita a Lisca Bianca |
La
prima regola, dunque, è quella della contaminazione. Non a caso, l’approccio da
subito ha attinto a piene mani da diversi ambiti: tutela dei diritti, sistemi
di governance, partnership pubblico-privati, management dei servizi sociali. Il
fatto che gli utenti stessi non arrivino da un’unica area non è una casualità:
significa che persone diverse per età, provenienza geografica e storia
personale lavorano fianco a fianco per un obiettivo comune. Interfacciandosi
con uno staff che, a sua volta, è un mosaico. Oltre agli operatori del sociale
focalizzati sul percorso di inclusione, c’è il progettista che monitora gli
aspetti tecnici, c’è il responsabile del cantiere che li aiuta a prendere
confidenza con legno, resine e macchinari, c’è lo staff della comunicazione che
trasforma la loro esperienza in parole e immagini. La natura del Progetto
induce i ragazzi ad allargare ancor più lo sguardo. Molti di loro sono
impegnati – o lo erano in passato – anche in altre attività lavorative, ma il
restauro di LiscaBianca è la prima che li porta a confrontarsi con un
committente esterno, con il carico di responsabilità che ciò comporta. Bisogna
coordinarsi con altri sistemi, far fronte a tempistiche e modalità di
realizzazione complesse, fare i conti con qualcuno che valuterà in modo
oggettivo i risultati del loro lavoro. Un bel passo in avanti verso le logiche
del mondo esterno.
Con
un approccio così, non esistono strade già scritte né soluzioni scontate. Si
parte dal basso, dall’analisi dell’esistente e dalla comprensione dei bisogni
sociali, per cercare soluzioni innovative, con un occhio vigile alle best
practices regionali e nazionali. «Apprendimento informale, acquisizione di
competenze tecniche, scambio etnico e intergenerazionale, analisi del
fabbisogno territoriale fanno di LiscaBianca non solo un progetto di inclusione
socio-lavorativa per soggetti in condizione di marginalità sociale, ma un
metodo che vuole dare risposte concrete ai bisogni nell’ottica di un efficace
sviluppo del territorio attraverso percorsi di responsabilizzazione,
collaborazione e azione collettiva», spiega Nadia Lodato. La finalità, prosegue,
è quella di progettare servizi con modalità nuove, che danno concretezza ai
principi della partecipazione e della co-progettazione tra decisori pubblici (Istituzioni
in primis) e attori locali (organizzazioni, imprese, volontariato, cittadinanza
attiva). E il restauro è un mezzo, non un fine. Quando LiscaBianca tornerà in
mare, la sua seconda vita sarà legata a doppio filo all’inclusione sociale e
alla sostenibilità ambientale: crociere didattiche, velaterapia, vela solidale,
turismo sostenibile.
«Lavorare
su LiscaBianca è un'esperienza per me unica per tanti motivi. Sia perché non ho
mai lavorato su una barca, e sapere che ha fatto il giro del mondo mi dà ancora
più stimoli, sia perché so già che avrò tanta soddisfazione nel vedere che la
useranno persone in difficoltà – racconta S. –. Spero che al più presto potremo
finirla e metterla in acqua e trovare qualcuno coraggioso come la famiglia
Albeggiani che voglia riprovare a fare il giro del mondo». Le parole di B., che
viene dal Gambia, sono stringate ma non meno sincere: «Mi sento di ringraziare
tutti e Dio perché mi avete proposto questo lavoro e sono felice. Ho avuto
molte esperienze di lavoro ma non ho mai lavorato così bene. È una bellissima
esperienza».
«Liscabianca
non è soltanto un progetto sociale, ma un’impresa collettiva di recupero e di
riscatto, è un moltiplicatore di incontri, di energie, di competenze e di
passione: una barca, una storia che ha fatto il giro del mondo, un equipaggio
che non si ferma di fronte alle difficoltà, che non si “piange addosso”, perché
ha sempre uno sguardo oltre l’orizzonte», commenta Elio Lo Cascio, sociologo,
mediatore penale e presidente dell’Associazione. «È un progetto “di relazione”
e di prossimità: umana, affettiva, professionale, di sistema. Ho imparato dai
miei ragazzi e dai miei colleghi in questi tre anni più di quanto non mi sia
successo in tutta la mia carriera. Il valore delle relazioni ci ha dato la
spinta a provare a essere sistema, volano di cambiamento per un territorio,
intessendo sinergie, fatiche, paure, fragilità, competenze eccellenti,
disordine, cura, voglia di riscatto – conclude Nadia Lodato –. Grazie ai miei
compagni di viaggio non potevamo che essere questo. E non smetterò mai di
provare un profondo senso di gratitudine per quello che insieme siamo riusciti
a fare».
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