I marinai
veri, quelli sanno davvero andar per mare, sostengono che le burrasche si
affrontano meglio in porto che in mare. Ricordo, anni fa, che ero in rada a San
Vito. Alcune nuvole e il mare che da poco mosso divenne in un niente calmo come
l’olio mi convinsero a tirar su l’ancora e ripararmi nel porto. Mi ritrovai in
banchina ormeggiato ad un Comet 12. Bella barca, ma in quel caso quella barca
era popolata da un gruppo di ex ragazzotti convinti di essere dei novelli Magellano.
Il meteo minacciava una bella sciroccata a 40 nodi e onde di conseguenza. Nel
baretto del marina, uno dei vecchi marinai confermava e rincarava la dose: “Qua
per due giorni non si potrà manco respirare”. E un altro suggeriva di
allontanare le poppe dalle banchine perché quando soffia lo scirocco in porto
entra anche risacca.
Gli ex
ragazzotti, che si stavano preparando per partire l’indomani per le Egadi, non
erano neppure scesi dalla barca. Mi limitai a dirgli che sarebbe stato meglio,
per i due giorni successivi, andare a mangiare un bel cous-cous da ‘Gna Sara.
Io avrei fatto quello. Mi dissero che la barca era buono, che loro erano
esperti e che non sarebbero questi quei 30, 40 nodi a fermarli. E chiesero se io
restassi in porto per paura. A me è capitato di prendere legnate a mare, ma mai
di andarmele a cercare. Le legnate non mi piacciono a mare e non mi piacciono a
terra. Capii che non mi sembravano degli interlocutori con i quali perdere il
mio tempo e dissi che sì, avevo paura e che sarei rimasto in porto.
L’indomani mattina fui svegliato dagli ex
ragazzotti in procinto di andarsene. Il venticello era sui dieci nodi e il mare
calmo. Visto che ero sveglio andai in pozzetto col primo dei miei caffè. “Decido
a rimanere in porto?” “Assolutamente sì”. “Beh, visto che giornata?”. Io, che
voglia di parlare ne avevo davvero poca, mi limitai ad annuire: “Sì, bella
giornata”. E non augurai loro neppure il quasi obbligatrio “buon vento”. In
fondo non me ne fregava nulla.
Loro
andarono via. Li vidi alzare la randa dietro il molo di sopraflutto, quello del
benzinaio. Misi una maglietta e mi diressi al bar del marina per il secondo,
vero caffè. Quattro chiacchiere con un paio di diportisti locali, una col
vecchio marinaio che, dopo una vita di imbarchi in tutto il mondo (era su un
cargo), aveva deciso di finire gli ultimi anni prima della pensione a casa sua.
“Arriva lo
scirocco?”, chiesi.
“Arriva,
arriva”, mi rispose il vecchio.
“Quelli
accanto a me sono usciti”
“Ho visto”
“E non gli
ha detto niente?”
“No, quando
sono arrivati hanno detto che loro e il mare erano tutta una cosa. Perché avrei
dovuto dirgli qualcosa”.
“Già”, dissi
io per chiudere una conversazione che non interessava al vecchio e neppure a
me. E ci siamo messi a parlare di come cucinare le ricciole. Bella
conversazione di cui conservo ancora il sapore.
A pranzo
andai da ‘Gna Sara a mangiare il cous-cous e già lo scirocco era forte. In rada
una barca all’ancora vide il suo tender volare. Fu recuperato più tardi sulla spiaggia. Tornai in barca. Dopo un po’
rimisero la prua in porto gli ex ragazzotti. Un gommone in acqua e un po’ di
gente sulla mia murata e su quella di un’altra barca li aiutarono a rientrare
nell’ormeggio. Avevano le facce cadaveriche. Cominciarono a dirmi che c’era 50
nodi di vento (che non c’erano) e onde mostruose (che c’erano, ma non erano mostruose).
Forse voleva ingigantire la realtà per dimostrare che la decisone del loro rientro non era dettata
da paura, ma dall’imponenza della natura. Risposi semplicemente che certo, con
70-80 nodi e onde di dieci metri la navigazione non sarebbe stata molto confortevole.
Credo di essere stato odiato. Loro con gli altri…
Adesso sono
in porto a Gaeta. Fra poco passerà la coda di una perturbazione e verrà qualche
temporale. Teoricamente potrei andarmene domattina, ma sono in pensione, non ho
cartellini da timbrare e neppure traguardi da tagliare. Il tempo migliorerà
domani in tarda mattinata e dovrebbe durare per qualche giorno. Il vento e il
mare saranno assolutamente sostenibili. La mia prossima tappa sarà Pozzuoli o
Ischia. In fondo sono solo una quarantina di miglia e voglio farmeli in pieno
relax: partirà martedì mattina molto presto, in modo di farmela tutta a vela,
anche se la velocità sarà di 3 o quattro nodi.
Le ultime
venti miglia prima di arrivare a Nettuno le ho fatte con vento sul muso a 30
nodi e mare formato. Ma non avevo scelta: ho ridotto le vele, mi sono messo di bolina
larga e sono arrivato. Ma ho più di 60 anni, la salute non sempre mi è amica e
le mie forze stanno più nei cassetti dei ricordi che con me. E non ho voglia di
sprecare il mio limitato patrimonio di energie a prendere legnate annunciate.
Se arrivano senza preavviso, bene (male), ma comunque si prendono. Ma andarmele
a cercare proprio no. Anche perché io non sono un ex ragazzotto, ma un anziano
e pure un po’ acciaccato. E siccome mi accetto come sono, con i miei anni e con
i miei malanni, stasera e domani me ne starò a gaeta. Anche perché ho scoperto
un ristorantino nascosto in uno dei vicoli che ci sono di fronte al porto dove
si mangia da padreterno e si mangia poco: Il Covo di cagliostro. Una cuocsa
(simpaticissima) e un acameriera bastano e avanzano per dieci tavoli. Tanto per
farvi un’idea: antipasto composto da unsalata di mare, seppiolina grigliata,
tortino di pesce, baccalà fritto, cozze scoppiate, polipetti “murati; pasta con
le vongole; frittura di gamberi e calameri, acqua, vino e limoncello. Il
prezzo? 25 euro a persona. Caffè niente e neppure bancomat. Ma è un “covo” da
segnalare. E che il arrivi pure il maltempo. Io da qui me ne andrò solo
martedì, col tempo – come si dice nel gergo dei marinai – “dichiaratamente al bello”.
E il temporale me lo vedrò dal pozzetto.
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