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venerdì 3 giugno 2016

Procida, un'isola che sarebbe un delitto perdersi

Tramonto a Procida
La partenza da Castellammare di Stabia con destinazione Procida è fissata per le 7 del mattino. Ma sapete come vanno le cose: prima la colazione, poi la consegna della chiave agli amici della Lega Navale che non smetterò mai ringraziare abbastanza per l’ospitalità e per l’affetto, eccetera. Insomma, alle 9 lascio il pontile e dopo un po’ di girovagare nel porto, vado a fare il pieno di gasolio e ho la conferma di ciò che sapevo già: la piccola Horus, quando va a motore a velocità di crociera (5 nodi, duemila giri) consuma solo 1,18 litri l’ora. Una meraviglia, soprattutto per chi, come me, non ha soldi da buttare. Il vento è scarso e si va per un’ora con randa e motore. Poi rinforza un poco, si stabilizza sugli otto nodi, e di bolina filiamo a 4 nodi.

Mentre continuiamo a stare in rotta, a volte siamo costretti a fare virate improvvise per evitare aliscafi, traghetti e reti. Insomma, alla fine, le 21 miglia teoriche previste, diventano più di 25.
Arriviamo a Procida assieme al temporale
Nel bel mezzo del golfo di Napoli, il vento rinforza e comincia a piovere. A bordo ho Luisa, una mia amica padovana che mi ha raggiunto a Castellammare e che sbarcherà a Gaeta. Procida è vicina e i temporali pure. Per precauzione – in previsione di qualche groppo – accendo il motore e avvolgo il genoa. Poi, pian piano ci avviciniamo al porto commerciale dove ha sede la Lega Navale. Ci mettiamo d’accordo con paolo, il nostromo, e quando sono all’imboccatura lo chiamo sul Vhf e in pontile c’è un marinaio che mi aiuterà. Ma – come da tradizione – mi ritrovo col vento sul fianco a 20 nodi e un posto strettissimo tra due barchette dove entrare. La manovra – ammettiamolo – non è da manuale, ma in un modo o nell’altro  si riesce ad entrare.
Si decide di stare qui due giorni, anche per dare il tempo ad una perturbazione di passare. Alla fine, i giorni di sosta saranno tre. Oltre al maltempo, da qualche anno devo fare i conti anche con la mia salute.
Ma la permanenza a Procida è fantastica. Cominciamo dal mio lato debole, il cibo: qui si mangia da padreterno. Con le raccomandazioni di Paolo, il nostromo della Lega Navale e di Leonardo, il marinaio, dovunque andiamo veniamo accolti da un trattamento di favore, sia nella quantità dei piatti che nella riduzione dei conti. Meglio di così…
Gli spaghetti con "la pescata povera"
Oggi, in particolare, siamo andati a mangiare alla Medusa u n piatto di spaghetti con “la pescata povera”. La pescata sarà anche stata povera, ma il piatto era eccellente: spaghetti con alici, friarelli, pomodorini e peperoncino verde. Il proprietario, che è anche il cuoco, è un omone che non finisce mai. All’anagrafe fa Biagio, ma qui è chiamato da tutti Altafini. Perché? Presto detto: “Da ragazzino giocavo al pallone e pure benino. Altafini a Napoli era il dio dei calciatori e…”. …e, appunto,
Biagiio, ma per tutti è Altafini. E' il proprietario-cuoco della Medusa
Biagio resta Biagio solo all’anagrafe, ma qui a Procida, – chi vuole incontrarlo, deve chiedere di Altafini.
A Procida,  a dimostrazione che il mondo è piccolo, piccolissimo, praticamente un monolocale, mi viene incontro e mi abbraccia Rosanna, una mia giovane ed ex collega che da anni si è trasferita a Bologna. Abbiamo fatto dei conti approssimati per difetto e abbiamo deciso che sono almeno 15 gli anni in cui non ci siamo visti.
Come turista sono un pessimo esemplare. Non sono uscito dall’ambito della zona portuale. Ma in compenso sono stato molto in barca. In tanti mi avevano avvisato della risacca provocata dall’incessante andarivieni di traghetti ed aliscafi. E così è. Solo che a me degli sballonzolamenti non me ne frega più di tanto. E quando dormo, dormo davvero.
Ma il via vai dei traghetti c’è. Io rimango incantato a vederli fare manovra. Arrivano a tutta velocità di prua, girano su se stesso, buttano l’ancora a pochi metri dal loro pontile, vanno a marcia indietro, si tendono a poppa solo con la cima sopravento, sbarcano i passeggeri, imbarcano i passeggeri, tirano l’ancora e vanno via.
Poi, a ritmare la giornata, ci pensa la campana della chiesetta. Suona ogni quarto d’ora. E abbiamo imparato a capire che ore sono senza guardare orologi e cellulari, ma solo con il tocco delle campane.
Ieri pomeriggio è arrivata una sorellina di Horus, un altro Jeanneau 34.2 con a bordo due signori “maturi”. Insomma, come me, avanti negli anni. Ma è un Jeanneau “normale”, senza tutte quelle caratteristiche da barca vissuta (e da vivere) che fa di Horus un esemplare unico e che, nel suo casino, rispecchia anche lo status di chi vi scrive e la abita.
Al ritorno, se non farò il giro “largo”, cioè passando dalla Sardegna, ripasserò da qui e quest’isola me la girerò per bene.

Adesso cominciamo a preparare Horus per la traversata di domani. Ci aspettano circa 35 miglia e, se le previsioni sono giuste, dovremmo avere 15 nodi al traverso o al lasco. Ma non ci giuro mai: qui, come altrove, il vento è ballerino assai.



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